Una roccia calcarea facilmente levigabile e il genio di artisti come Giuseppe Zimbalo hanno reso possibile l’esistenza di paesaggi urbani che paiono scolpiti direttamente nelle profondità degli abissi: è questa l’impareggiabile bellezza dell’arte conosciuta come Barocco salentino.
C’è stato un tempo in cui il Salento era completamente sommerso dalle acque. Un periodo antichissimo, precedente all’ultima era glaciale, ma che ha lasciato profondamente il segno su questa terra e di cui ancora oggi vediamo gli effetti nei monumenti e nei palazzi storici che l’abbelliscono grazie alla straordinarietà della pietra calcarea con cui sono costruiti.
Passeggiando per i centri storici salentini e guardando da vicino la “pelle” degli edifici più grandiosi, è facile accorgersi che la pietra che li compone non è liscia ma piuttosto porosa, piena di rughe, in molti casi scavata da pioggia e vento in piccoli trafori e crateri. La somiglianza di questi piccoli canyon con le rocce degli scogli erosi dal mare non è casuale: un tempo anche la pietra leccese e il carparo – i due principali elementi da costruzione locali – giacevano nelle profondità degli abissi. E oggi che quei depositi sono affiorati in superficie e sono stati estratti per innalzare città, è come se l’architettura salentina avesse assunto la faccia dei fondali marini. Una faccia scabrosa, ruvida, irregolare, piena di asperità che sembrano però concepite da mani divine.
L’importanza che il litotipo locale ha avuto per lo sviluppo di quest’arte è uno degli aspetti meno raccontati del Barocco salentino, che ha raggiunto un livello di spettacolarità differente rispetto al resto del mondo forse proprio grazie a questa pietra, già barocca di per sé, piena di rientranze e di giochi capricciosi.
In Salento “l’uomo cammina sui lentischi e sulla creta. Scricchiola e si corrode ogni pietra da secoli”: attraverso queste parole onomatopeiche del grande poeta Salvatore Quasimodo sembra di vederle, le pietre del Salento, arse dal sole, corrose dal mare e levigate dal vento.
D’altronde barocco deriva dallo spagnolo barrueco e dal portoghese barroco, termini che indicavano la forma anomala della perla scaramazza, caratterizzata proprio dalla sua sregolatezza che da sempre nell’immaginario comune si accompagna alla genialità: non c’è, forse, immagine più adeguata per descrivere l’inebriante follia dei capolavori del Barocco salentino.
Meraviglie come la Basilica di Santa Croce a Lecce, ad esempio, riconosciuta come il manufatto più iconico di quest’arte per la facciata, ricca di sculture, ornamenti, mensole, dettagli, abbellimenti: cento anni per costruirla – tra metà Cinquecento e metà Seicento – tutta l’eternità per restarne incantati. Una lussureggiante distesa di particolari in rilievo che è un manifesto dell’horror vacui (ovvero la paura del vuoto) tipico dell’arte barocca: non devono restare superfici lisce, ma ogni palmo deve sprigionare energia, arricchirsi di decorazioni fantasmagoriche. D’altra parte il Barocco è la corrente artistica nata dalla Controriforma, l’atto con cui la Chiesa Cattolica decise di reagire allo strappo procurato da Martin Lutero e la sua Chiesa Protestante: per tenersi stretti i suoi fedeli il Vaticano scelse di affidarsi a un’arte che incantasse il popolo, che ne aumentasse il coinvolgimento emotivo presentandogli immagini e spazi scenograficamente impressionanti.
E proprio sulla facciata di Santa Croce, l’occhio più attento noterà il profilo di uno dei più importanti architetti e artisti leccesi dell’epoca, Giuseppe Zimbalo (anche se alcuni studiosi lo attribuiscono al nonno, Francesco Antonio, altri ad un ulteriore celebre architetto barocco, Giulio Cesare Penna). Nipote e figlio d’arte, Zimbalo è l’artista che più ha contribuito a creare l’immagine della Lecce barocca che ammiriamo ancora oggi. Oltre alla facciata di Santa Croce, firma il prospetto inferiore del Palazzo dei Celestini, ex convento che si sviluppa accanto alla Basilica e che oggi è sede della Provincia; sua è anche la colonna di Sant’Oronzo che domina la città dal centro dell’omonima piazza: Zimbalo l’ha costruita riadattando i rocchi crollati da una delle due colonne romane poste al termine della Via Appia a Brindisi, creando così la base ideale su cui posizionare la statua del santo patrono della città.
Soprattutto, Zimbalo è l’autore del Duomo di Lecce e del suo campanile, due opere pregevoli per fattura ma ancor più per la loro disposizione teatrale. Zimbalo ha avuto l’intuito di capire che entrando nella piazza ci si sarebbe trovati al cospetto di una mera parete laterale della cattedrale. Così, decise di rendere anch’essa una facciata, dandole una funzione prettamente scenica di impatto visivo all’ingresso della piazza, mentre la facciata principale restava quella deputata all’ingresso in chiesa. Grazie a tale escamotage – e insieme all’apporto degli altri splendidi palazzi che si affacciano sulla Piazza del Duomo, ovvero l’Episcopio e il Palazzo del Seminario – questo luogo si apre davanti agli occhi dell’osservatore, o sarebbe meglio dire dello spettatore, come una quinta teatrale. Anche questa è una peculiarità tutta barocca: la cura scenografica dello spazio urbano, sempre nell’ottica di stupire e meravigliare chi guarda.
Nel corso degli ultimi decenni, il Barocco leccese è stato riconfigurato dagli studiosi come specificità più in generale salentina: quasi tutti i centri della provincia, infatti, vantano monumenti di grande rilevanza storico-artistica. A partire da Nardò, seconda città della provincia e sede vescovile fin da tempi molto antichi, dove sorge una delle piazze barocche più caratteristiche d’Italia: Piazza Salandra. Un autentico salottino racchiuso da splendidi edifici Sei-Settecenteschi come il Sedile, il Palazzo dell’Università, la Chiesa di San Domenico e quella di San Trifone, che formano una meravigliosa quinta scenica attorno all’iconica Guglia dell’Immacolata che si staglia al centro della piazza.
Particolare menzione merita poi Gallipoli, il cui centro storico si erge su un’isola circondata dal Mare Ionio e al cui interno possono ammirarsi alcune autentiche perle barocche. Una tra tutte, la Cattedrale di Sant’Agata, nel cui prospetto ritroviamo Giuseppe Zimbalo che ne ha disegnato l’ordine superiore. Come non citare Galatina con la chiesa dei SS. Pietro e Paolo dove pure ha messo mano l’onnipresente Zimbalo, autore dei tre portali che danno accesso alla chiesa; Copertino con la Basilica della Madonna delle Nevi; Galatone col santuario del Santissimo Crocifisso; il Palazzo Ducale di San Cesario; la chiesa di San Domenico a Tricase, le chiesette di San Vito e San Nicola a Lequile o le chiese madri di Casarano, Muro Leccese e Poggiardo.
E infine, Melpignano, dove Giuseppe Zimbalo ha lasciato un’altra delle sue opere: la ristrutturazione del Convento degli Agostiniani e dell’annessa chiesa del Carmine, un complesso monumentale che ogni anno ad agosto funge da quinta del grande concertone della Notte della Taranta, evento da oltre 100mila presenze ormai diventato un cult dell’estate italiana.
Il Barocco è uno dei simboli dell’identità culturale salentina che ancora oggi rispetta il proposito per cui è nato: estasiare e stupire l’osservatore. Una forma d’arte di indescrivibile bellezza che rende possibile l’impossibile anche attraverso artifici ottici, come a teatro. Tutto ciò grazie a formidabili geni come Giuseppe Zimbalo, capaci di creare da una preziosa roccia calcarea di colore ambrato un paesaggio unico al mondo, che sembra essere stato scolpito direttamente nelle profondità del mare per poi emergere, sconvolgere e risplendere, illuminato dai raggi di sole e accarezzato dalle brezze del Salento.