Dal Cretacico dei dinosauri al Neolitico degli uomini preistorici, il Salento custodisce radici molto più profonde di quanto si possa immaginare: testimonianze meravigliose e concrete dell’evoluzione della Terra e dei misteri e dell’essere umano.

In uno dei nostri precedenti articoli, avevamo raccontato di come un tempo il Salento fosse completamente sommerso dalle acque del Mar Mediterraneo, in cui nuotavano mastodontiche specie marine e si sviluppava una roccia calcarea che, milioni di anni dopo, avrebbe dato vita alla meraviglia del Barocco salentino, custodendo in sé anche i resti di queste ere incredibilmente lontane nel tempo eppure giunte sino a noi in tutta la loro unica bellezza.
La pietra leccese, infatti, ha conservato intatti numerosi fossili e reperti risalenti alla Preistoria, dal Cretacico (145 milioni di anni fa, all’epoca dell’estinzione dei dinosauri) al Miocene (23 milioni di anni fa). Nelle acque del Salento, dunque, vivevano mostruosi animali marini come lo Zygophyseter Varolai, enorme antenato dei capodogli di cui 255 pezzi ossei appartenenti a un esemplare di oltre 6m sono stati estratti da decine di blocchi di pietra leccese destinati all’edilizia ed oggi preservati ed esposti nel MAUS, il Museo dell’Ambiente dell’Università del Salento. Il museo è ricco di fossili di pesci, molluschi, coralli, crostacei e vertebrati marini e terrestri conservati alla perfezione nei giacimenti di questo malleabile litotipo tipico dell’architettura locale, venuto alla luce proprio nel periodo miocenico durante l’abbassamento delle profondità marine e lo sviluppo di vaste distese erbose.
Parlando di Preistoria, dai dinosauri all’uomo il passo è immenso ma nel piccolo Salento può apparire breve: dalle acque, alle coste. Qui le numerose grotte carsiche offrono non solo un grande impatto turistico e paesaggistico ma anche storico, poiché costituiscono la prova più antica della presenza di una civiltà primitiva locale. Risalgono, infatti, a 350mila anni fa le testimonianze umane scoperte nella Grotta Romanelli a Castro (ricordate l’approdo di Enea?), ossia molto prima che comparissero in Italia i primi Homo Sapiens e i Neanderthal. Si tratta della più considerevole testimonianza del Paleolitico che sposta indietro di 200mila la certezza della presenza umana nell’area mediterranea sia grazie alle espressioni di arte parietale e incisioni di temi zoomorfi, sia ai resti di fauna preistorica come le gru islandiche, i gabbiani artici, la renna e il pinguino boreale.

Sempre a Castro la Grotta Zinzulusa, raggiungibile via mare e via terra, è stata abitata dall’uomo in era preistorica proprio come la Grotta della Poesia a Roca, luogo di culto e riparo dalle intemperie sin dal Neolitico. Ma è la Grotta dei Cervi a Porto Badisco quello che è considerato il vero e proprio monumento preistorico del Salento. Situata a ventisei metri di profondità sotto il livello del mare, è stata definita dal National Geographic “La Cappella Sistina del Neolitico” per il suo straordinario ciclo pittorico risalente a 8.000-5.000 anni fa. La Grotta dei Cervi è il maggiore complesso Neolitico di tutta Europa con i suoi tremila pittogrammi e graffiti realizzati in ocra rossa e guano di pipistrello dove sono rappresentate scene di caccia, cervi, ominidi dotati di arco e frecce. I cui autori, incredibile ma vero, sembrano aver voluto lasciare la propria firma imprimendo sulla roccia le impronte delle loro mani: un segno indelebile dei nostri antenati ai futuri visitatori di un Salento ancora tutto da scoprire. Perché in questa stupefacente penisola la Preistoria ha lasciato il marchio della sua presenza nel mare, sulle coste e perfino nell’entroterra.
È sufficiente avventurarsi nelle campagne della provincia di Lecce, infatti, per imbattersi in un numero vastissimo di opere megalitiche, distinte in tre principali categorie: i Dolmen (grandi monoliti disposti in verticale sui quali è adagiata in orizzontale un’altra grande lastra di pietra), le Specchie (cumuli di pietrame da non confondere coi muretti a secco) e i Menhir (monoliti infissi verticalmente nel terreno o nel banco di roccia). Parliamo sempre del periodo del Neolitico europeo, tra il VII e il III millennio a.C., e tali monumenti appartengono quindi alla fase finale della Preistoria, compresa fra l’affermarsi dell’agricoltura e dell’allevamento e l’inizio della lavorazione dei metalli. Ma non sono tantissime le zone del continente dove si possono ammirare (basti pensare a Stonehenge in Inghilterra o ad alcune aree in Sardegna e Corsica).
A pochi minuti dalla Dimora Storica Don Totu sono facilmente visitabili il “Giardino Megalitico d’Italia” a Giurdignano – che ospita e protegge ben 7 dolmen – e il “Parco Culturale Li Scusi”, dal nome dell’omonimo dolmen qui scoperto alla fine del 1800.
Il loro scopo resta tutt’oggi un mistero: alcuni storici parlano di monumenti sepolcrali, ma non è da escludere che venissero utilizzati per altri tipi di rituali ad oggi misconosciuti, come lo sono d’altronde queste testimonianze millenarie di un passato remoto che è meravigliosamente arrivato fino ai giorni nostri, dalle acque alle coste fino all’entroterra, dal Cretacico dei dinosauri fino al Neolitico degli uomini preistorici… Innumerevoli tracce pittoriche e megalitiche spesso installate proprio di fianco a quelle ancora esistenti del primo popolo riconosciuto come “salentino”: i Messapi. Ma questa è davvero un’altra Storia…